Una volta per tenere buoni i bambini li si piazzava davanti allo schermo del televisore. Adesso gli schermi da guardare si sono moltiplicati esponenzialmente e la scelta è tra smartphone, laptop, tablet e quant’altro.
Il bimbo fa la tigna? Gli si dà in mano un tablet e il gioco è fatto. Il pargolo se ne rimarrà buono e tranquillo per almeno un’oretta, come se fosse stato preso da un incantesimo improvviso. Guarderà i cartoni, giocherà coi videogiochi, ascolterà della musica.
Lo vediamo tutti i giorni, ma c’è da chiedersi se da parte dei genitori questa sia una corretta strategia educativa: è una buona cosa o no “delegare” a un device l’intrattenimento dei nostri bambini?
In estrema sintesi, la risposta è no. E non si tratta, si badi, di una posizione “luddista”, cioè anti-tecnologica a prescindere, ma della constatazione dei danni concreti, in termini di socializzazione, che lo stare per ore davanti a uno schermo può provocare ai bambini.
Il problema è che lo smartphone o il tablet assumono per i bambini il valore di una sorta di “caramella elettronica” che li calma, ma non li coinvolge in una interazione col mondo reale. Soprattutto non li coinvolge in una interazione coi genitori e con gli altri bambini.
Prima dell’avvento di tutti questi tecno-aggeggi, un genitore per calmare il figlio poteva leggergli una favola, cantare una filastrocca, giocare a nascondino o chessò io. Era in ogni caso qualcosa che avveniva qui e ora, nel mondo reale e materiale, quello che si tocca con le mani.
Detto in altro modo, quei vecchi modi di calmare i piccoli erano attivi e interattivi, mentre metterli davanti a uno schermo significa condannarli a un atteggiamento di passività e di isolamento dal resto del mondo.
Se vogliamo che i nostri bambini imparino a interagire positivamente con gli altri, è necessario che li stimoliamo a farlo fin da piccoli: fissare uno schermo per ore non vale mezzora di corse, salti e capriole con gli amici.