Empatia. È una parola molto di moda in questi ultimi anni e magari non tutti sanno cosa significa.
Il concetto non è complicato, in realtà, empatia vuol dire capacità di mettersi nei panni delle altre persone. Una persona empatica è una persona che sa “leggere” i suoi simili e quindi sa mettersi in relazione con essi evitando il più possibile tensioni e fraintendimenti.
In fondo empatia non è che una parola nuova per definire, sia pure in parte, un concetto molto antico: compassione.
Compassione è partecipazione alla sofferenza dell’altro. Si badi bene, nel vero senso etimologico della parola non definisce un sentimento di pena che guarda dall’alto verso il basso (non a caso, spesso il disprezzo viene espresso con le parole “mi fai compassione”), ma una partecipazione “orizzontale”, da pari a pari, al dolore o comunque alla condizione esistenziale dell’altro.
Si tratta di una sorta di “testa di ponte” che possiamo gettare tra noi e gli altri, e non solo nella sofferenza, ma anche nella gioia.
Al polo opposto dell’empatia e della compassione stanno la chiusura e il disprezzo.
Sempre più spesso in questo nostro mondo ci si divide in campi contrapposti e chi appartiene a una fazione spesso è addirittura incapace di vedere in quelli che militano nel campo avverso degli esseri umani come lui.
Ricordiamo che il primo passo verso la guerra, sia metaforica che reale, è sempre la disumanizzazione dell’avversario, che diventa un essere diverso da noi, un individuo su cui riversiamo tutta la nostra carica d’odio.
In fondo tutto nasce dalla nostra innata capacità di dispensare giudizi sugli altri. Se appena qualcuno si discosta dal “nostro” modello, dal nostro modo di pensare, allora quella persona è cattiva e va quanto meno evitata, se non combattuta come la peste.
Non è un bel modo di stare in società, sarete d’accordo con noi.
E dunque torniamo a quanto abbiamo detto sopra a proposito dell’empatia: non puoi capire davvero un uomo finché non hai camminato un po’ nelle sue scarpe…